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Come poté un ragazzo lombardo, apprendista pittore, arrivato a Roma all’età di circa diciotto anni, costruirsi, crescere, straripare dalle zone basse di piazza Navona, oltre Tevere, oltralpe, oltre il suo secolo e i secoli successivi, arrivare fino a noi quale uno dei più alti moniti (forse il più stabile e compatto), imporsi quale bandiera del moderno alle scelte più disparate, alle fazioni più contrastanti? Come è possibile che ancora oggi, dopo Kandinsky o Mondrian, il passante più casuale, o il patito di Pollock o di Rauschenberg, o il più condiscendente elettore dell’arte ludica, entri in San Luigi dei Francesi e senta riaprirsi in petto una piaga che credeva chiusa per sempre? Sono domande senza risposta, o la cui sola risposta possibile (da molti tenuta in dispregio) è che la verità di una grande passione creativa si misura dalla sua durata, dalla sua capacità di riproporsi come fonte d’acqua viva alle ideologie, alle nuove convinzioni, ai nuovi gusti: mostrare una faccia nuova, mai vista prima. (Dalla Presentazione di Renato Guttuso)